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Condividiamo la lotta

A tutte e tutti coloro che vogliono battersi per la libertà.

Contro la costruzione di un nuovo centro per persone senza documenti e contro tutto ciò che cerca di imporci una vita piena di frontiere e di gabbie.

Maggio 2009. A Steenokkerzeel iniziano i primi lavori nel cantiere che dovrà diventare un nuovo centro per senza-documenti; perché lo Stato cerca di far passare un’immigrazione “scelta”, un’immigrazione adattata ai bisogni dell’economia. Coloro che non rientrano nei criteri adottati dallo Stato ormai dovranno essere espulsi ancora più efficacemente. Questa nuova prigione (che funziona a regime di celle individuali) mira soprattutto ad isolare coloro che dirigono la loro rabbia contro i loro secondini (che abbiano o meno l’uniforme). In questa rabbia noi vediamo qualcosa in cui riconoscerci ed un invito:  in cammino per una lotta contro questo nuovo Centro, contro tutte le frontiere, contro tutte le autorità.

Prendere il volo… perché noi non abbandoneremo la lotta.
Da qualche mese a Zaventem ai motori ronzanti degli aerei si sono aggiunte delle macchine edili che fanno polvere e rumore. Perché là, nelle vicinanze del centro per senza-documenti 127bis, lo Stato costruisce, con l’aiuto di diverse imprese, un edificio, un nuovo centro di deportazione. Oltre che per la sua architettura stravagante questo centro si distingue dalle altre prigioni per senza-documenti esistenti anche su altri piani. Per esempio servirà per raggruppare e trattenere “i casi difficili” prima di deportarli, coloro che non si sono fatti dare in pasto ad un destino programmato senza reagire, coloro che da soli o con altri, almeno per un momento, hanno superato la barriera dell’impossibile e si sono ribellati.

Il fatto che lo Stato cerchi così di separare coloro che si ribellano dagli altri reclusi senza documenti non è che una delle numerose tattiche per far tacere quelli che non si adattano, per riaffermare le norme e le gerarchie. È già da molto tempo che ci insegnano ad interpretare il mondo attraverso i termini del potere. Ci hanno inculcato il nome ed il senso delle cose; e più ce li hanno ripetuti, meno noi abbiamo pensato di metterli in discussione. Ma noi siamo ormai stanchi di tutto questo. Stanchi di tutte quelle cose che chiamiamo obblighi, come il lavoro o la scuola. Stanchi di perderci in relazioni troppo spesso mantenute per abitudine. Noi ne abbiamo abbastanza di essere pressati dalla costante ricerca di denaro e dalla paura di perderlo; di essere rinchiusi in una realtà che incolla delle etichette sulle persone, le obbliga a mostrare i propri documenti, le spinge ad identificarsi con una nazione o una religione, le confina in un’identità (“uomo” o “donna”, “debosciati”, “approfittatori”…). Una realtà che isola le persone se sono “diverse”, se sono troppo tristi, troppo vecchie, troppo gioiose, se trasgrediscono la legge o semplicemente coloro che rifiutano di accettare tutto questo. E più ci fanno credere che questa sarà “la via” da percorrere, che tutto questo è normale, ci è proprio, o che, ad ogni modo, non esiste altra sorte e che è troppo tardi, più dimentichiamo che un tempo abbiamo voluto essere LIBERI. Che esistono altre possibilità e che le aspettative per le nostre vite non dovranno conoscere né frontiere, né limiti.

Ma ci saranno sempre degli individui che non si lascieranno sopraffarre dall’avvilimento. Coloro che sanno che questa società, lo Stato, i suoi politici ed i suoi rappresentanti, saranno sempre un ostacolo per loro stessi e la realizzazione dei loro desideri. Ecco perché la distruzione di tutti i muri, eretti e protetti, fra di noi è la sola prospettiva. Perché dobbiamo rifiutarci di mettere la nostra vita e le nostre decisioni in mani altrui. Ecco perché noi non ci battiamo soltanto per un mondo senza centri di deportazione, senza documenti e senza frontiere, ma consideriamo tutto ciò come parte di una lotta per una vita in cui nessuno dà ordini e nessuno obbedisce. In cui non ci saranno più norme e leggi soffocanti e noi potremo dare senso alle nostre vite attraverso le nostre idee. Noi vogliamo essere liberi, con la consapevolezza che tutto è possibile. Ecco per cosa ci battiamo.

Stranieri dappertutto. Il nemico alle frontiere.
Ogni anno decine di migliaia di rifugiati superano le frontiere europee. Molti addirittura muoiono nel tentativo di varcarle. Così il Mar Mediterraneo si è trasformato in una fossa comune di “boat people”,  mentre la polizia e i trafficanti di esseri umani spogliano altri erranti prima di sbarazzarsene nel deserto del Sahara. E quando dei rifugiati riescono a raggiungere il suolo europeo, è una vita nell’ombra che attende la maggior parte di loro. Essi portano con sé esperienze di guerra, fame, distruzione del proprio ambiente, persecuzione, di odio religioso o nazionalista.

Molti sono coloro che qui temono questi rifugiati: sono “diversi”, parlano un’altra lingua o hanno altre abitudini. Ma forse le persone di qui hanno paura soprattutto perché le storie di miseria che questi rifugiati portano con loro potrebbero ricordargli qualcosa. Queste storie gli tendono uno specchio nel quale non osano guardarsi poiché la miseria incombe anche su di loro. Così invece di guardare in faccia le cause di questa miseria, molte persone costruiscono l’immagine del nemico intorno agli immigrati, “che vengono a fregarci il lavoro e sono degli approfittatori”; questo fa perdere di vista il “vero” nemico.

Dappertutto nel mondo i ricchi si arricchiscono e i poveri diventano più poveri. Questi rapporti capitalisti, questa economia che riduce tutto il mondo a merce, rendono il pianeta sempre più invivibile. Invivibile perché centinaia di milioni di persone vivono in una povertà desolante. Invivibile perchè centinaia di milioni di persone sono pronte ad uccidersi per un pezzo di pane, un dogma religioso, per fede nella propria nazione o… per un telefonino nuovo. Invivibile perché l’acqua è contaminata dalle attività industriali, perché ciò che mangiamo è cancerogeno, perché i luoghi che viviamo sono rimodellati in funzione dell’economia e del controllo. Queste situazioni invivibili spingeranno sempre più le persone a fuggire.

Così le oasi delle cosiddette “democrazie occidentali” rinforzano le loro frontiere. Migliaia di chilometri di filo spinato, torrette di guardia, guarda-frontiere e sistemi di localizzazione per proteggere a Est dell’Europa e in Grecia lo Spazio Schengen dalla miseria del mondo. Con il supporto logistico ed economico degli Stati europei, paesi come la Tunisia, il Marocco e la Libia, costruiscono dei “campi di concentramento” per rinchiudere i rifugiati affinché non arrivino alle coste europee a bordo di malfermi barconi.

Il nemico all’interno.
Ma lo Stato non si rafforza soltanto contro i “nemici esterni”. Per proteggere gli interessi di ricchi e potenti deve assicurarsi che gli sfruttati ed i poveri continuino ad accettare l’ordine esistente. Durante la lotta di classe e poiché per il controllo la carota funziona talvolta quanto il bastone, gli Stati occidentali hanno sviluppato l’ “aspetto sociale”, cercando di convincerci della favola dello “Stato mediatore” tra ricchi e poveri. Con l’aiuto dei sindacati e dei partiti, gli Stati occidentali hanno garantito che coloro che avevano tutto da guadagnare da uno sconvolgimento totale delle cose rimanessero alla fin fine “al loro posto”, senza eccedere.

Ma quest’epoca sta poco a poco giungendo al termine. Mentre la lotta sociale si indebolisce, lo Stato prepara la fine della social-democrazia, la fine del cosiddetto “tempo dei ragali”. Poiché i profitti devono continuare ad aumentare e ciò non è possibile se non a scapito dei poveri. Poco a poco, le conquiste sociali vengono abolite, la caccia ai disoccupati si intensifica, le reti sociali di “salvataggio” vengono liquidate, la concorrenza sul mercato del lavoro (tra i lavoratori stessi) e incrementata da una sempre più spinta flessibilizzazione dell’economia e dei contratti di lavoro. E nel caso non siano tutti d’accordo, assistiamo all’espansione generale del controllo sociale con interi quartieri messi sotto video-sorveglianza, con tutta una serie di nuovi servizi di controllo e di polizia e con l’utilizzo di mezzi di sorveglianza e repressivi sempre più sofisticati.

È sicuro che la povertà si estenderà, che il numero dei poveri aumenterà, e non soltanto in paesi che ci appaiono distanti, ma anche qui. Ci dicono che la “barca è piena”, e di fatto intendono che “bisogna buttare la gente a mare”.

Tutti poveri, ma tutti diversi?
Così lo Stato fa di tutto per convincere le persone che saranno altri (almeno prima di loro) ad oltrepassare la soglia della povertà. Questa illusione tranquillizza molte persone. Sulla base di documenti di identità e di permessi di soggiorno lo Stato impone una gerarchia sociale tra i poveri. Crea una serie di livelli intermedi a cui vengono accordati diversi statuti secondo le esigenze dell’economia (che dipendono dai contratti di lavoro, dalla mancanza di mano d’opera in alcuni settori…). La recente regolarizzazione, ottenuta dopo anni di proteste dei senza-documenti e di altri, s’inserisce pienamente in questa cornice ed è quindi distante dall’essere una “vittoria”. Alcune categorie di senza-documenti saranno regolarizzate sulla base di certi criteri… con la conseguenza implicita ed inevitabile che tutti gli altri dovranno andarsene. Ecco come lo Stato risponde a coloro che pretendono di r(esistere) continuando a delegare ad un potere che li prevarica la risoluzione dei loro problemi. Finché tutte e tutti coloro che vogliono lottare contro lo Stato attuale delle cose continueranno a muoversi sul terreno della politica, a negoziare e dialogare con lo Stato, a parlare la lingua del nemico e ad affidarsi alla famosa “rappresentanza politica” (in parlamento con i partiti, in strada con i sindacati), non otterranno che polvere negli occhi. Pertanto una lotta che si oppone alla gerarchia tra i poveri e che si batte contro le frontiere, non può che opporsi a tutta la politica e a tutte le forme di gestione della popolazione.

Mentre la povertà tocca sempre più persone lo “specchio” della pace sociale comincia a creparsi. Alcune persone non si accontentano più di vivere tutta la vita da sfruttate, di condurre un’esistenza priva di senso in funzione di un’economia che “rende” sempre meno e di uno Stato che mette sotto controllo tutto, sempre di più. Scoppiano delle rivolte qua e là e dei colpi sono stati “resi” al sistema (come durante le sommosse in diversi quartieri di Bruxelles, durante alcuni scioperi selvaggi nelle imprese, durante i numerosi ammutinamenti nelle prigioni e nei centri per senza-documenti in questi ultimi anni, come l’aumento impressionante delle rapine in quest’anno…). Nonostante ciò tutti i tipi di ideologie autoritarie (a base nazionalista, fondamentalista, razzista…) cercano di trarre vantaggio da questa situazione di malcontento sociale. Queste ideologie offrono un’alternativa tanto autoritaria ed opprimente quanto il mondo che viviamo all’oggi. Di fronte allo spettro di una guerra di tutti contro tutti, noi vogliamo la guerra sociale degli sfruttati contro tutti gli sfruttatori, degli oppressi contro tutti gli oppressori. Perché pagare un affitto ad un proprietario “belga” piuttosto che “immigrato”, farsi ammanettare da uno sbirro cattolico pittusto che musulmano, lavorare per un padrone bianco o nero non cambierà niente della miseria nella quale viviamo.

Un’altra maniera che lo Stato utilizza per dividere consiste nel presentare ogni questione sociale, ogni problema ed ogni lotta come separati gli dagli altri, potendo cosi’ “risolverli” in modo fittizio senza toccarne le reali cause alla radice. Lo Stato ha interesse affinché la lotta contro i centri per senza-documenti diventi una rivendicazione di regolarizzazione dei senza-documenti, mentre la migrazione rimanga non la libera scelta di viaggiare ma un movimento forzato, causato dai bisogni dell’economia, dalle guerre tra Stati e tra gruppi di popolazione.. In quest’ottica i centri non sono un’aberrazione vergognosa ma fanno pienamente parte dei rapporti autoritari e capitalisti che dominano questo mondo. I presunti “centri aperti” ce la dicono lunga a proposito di questo: lo Stato concentra i richiedenti asilo in veri e propri campi in attesa del risultato della loro domanda di asilo. Così tiene queste persone separate dal resto della popolazione e si facilita la selezione di quelli da accettare e quelli da rigettare. Dunque le persone sono sempre di più rinchiuse per ciò che sono piuttosto che perché abbiano commesso questo o quell’altro crimine. E per ogni “categoria” c’è una prigione specifica: i centri per senza-documenti per le persone “illegali”, le prigioni per i poveri, i “centri aperti” per i richiedenti asilo… Quindi rifiutiamo nella lotta le separazione tra le diverse forme di reclusione che lo Stato cerca di metterci in testa.

La questione dei centri per senza-documenti, delle deportazioni e dei permessi di soggiorno pertanto non riguarda soltanto le persone senza documenti. La concentrazione di queste persone, che sia nei centri per “clandestini” o nei “centri aperti” per i richiedenti asilo, non è che un altro passo nella crescente guerra contro tutti i poveri, poco importa la loro origine, poco importa il colore della pelle.

Un nuovo centro.
Nel maggio 2009 lo Stato ha varato la costruzione di un nuovo centro per senza-documenti a Steenokkerzeel. Da un lato questa è una chiara risposta alle molteplici rivolte, ammutinamenti ed evasioni che hanno avuto luogo nei centri in questi ultimi anni. Ciò ricorda come lo Stato abbia reagito agli ammutinamenti nelle prigioni del Blegio tre anni fa: costruendo nuove prigioni, più moderne e più sicure e rendendo operativi due moduli di isolamento per i “prigionieri ribelli”. Il Centro servirà anche a rinchiudere i reclusi più “ribelli”; vogliono applicarvi un sistema di celle individuali e celle di rigore per tentare di schiacciare tutte le forme di rivolta.

Dall’altro lato lo Stato vuole anche incrementare il rendimento della sua macchina delle espulsioni, creando una maggiore “capacità di reclusione”. Mentre regolarizza una parte delle persone senza documenti, si facilita il compito di espellere coloro che non rientrano nei criteri di regolarizzazione. Come negli altri Stati europei il Belgio vuole andare verso un’ “immigrazione scelta”, con i permessi di soggiorno completamente adattati ai bisogni dell’economia. Agli occhi dei padroni e dei politici, proprio come noi tutti, gli immigrati non sono altro che materia prima da utilizzare, negoziare o rigettare. La sola differenza è che lo fanno sempre più apertamente.

E allora, adesso che si fa?

Noi vogliamo essere liberi.
Giunti alla conclusione che nessun governo avrà nulla a che vedere con la libertà, ci restano due possibilità. Chiudere gli occhi, rassegnarci al fatto che nulla ha senso e che siamo condannati a vivere come dei morti. O saltare, nell’ignoto, senza avere tutte le risposte in tasca ma spinti da dei desideri che non accettano più le menzogne.
In cammino verso un “destino” che sta a noi…

Prima di tutto, vogliamo finirla con l’idea che le nostre possibilità di agire concretamente contro la miseria che ci circonda siano in qualche modo bloccate, o perché noi non abbiamo alcun “potere” sulla maniera in cui va il mondo, o perché tutto si svolge al di sopra delle nostre teste… Questo consueto sentimento di impotenza può paralizzarci quando concepiamo il sistema che cerca di “riunchiuderci” come il prodotto di un cervello diabolico onnipotente, ci trasforma in pedine inerti. Noi vogliamo lasciarci alle spalle questo sentimento di impotenza una volta per tutte.

Tutto cambia quando osiamo guardare in faccia la realtà e quando troviamo il coraggio di concepire noi e gli altri come individui che compiono delle scelte. Perché allora diventa chiaro che questa “tragi-commedia”, che è la realtà che viviamo, non avrà fine fintanto che gli “attori” continueranno a recitare il loro ruolo. Niente si porta avanti da solo; anche una cosa mostruosa come la macchina delle deportazioni non può continuare a funzionare senza che nessuno la porti avanti.

Sotto i nostri nasi, i politici decidono di costruire e finanziare dei nuovi Centri. Imprese come Besix, Valen e ISS Cleaning si fanno un pacco di soldi con la loro costruzione e manutenzione. I direttori e i secondini dei Centri, ma anche gli assistenti sociali e i dottori che ci lavorano, poco importa la loro “buona volontà”, scelgono di dedicarsi al buon funzionamento di queste prigioni, invece di rimetterle in discussione in modo sostanziale. Le compagnie aeree garantiscono le deportazioni. I cosiddetti “centri aperti”, gestiti dalla Croce Rossa e dalla Fedasil (che si occupa della “accoglienza” e della “selezione” dei richiedenti asilo), cercano di controllare le entrate e le uscite delle persone senza documenti e collaborano strettamente con l’Ufficio Stranieri e con i Centri.

Se guardiamo aldilà dei nostri nasi, vediamo che gli ingranaggi di questa “macchina delle espulsioni” sono numerosi. Delle organizzazioni caritatevoli come Caritas International promuovono il cosiddetto “ritorno volontario” e danno delle gratifiche quando le persone senza documenti accettano di andarsene. Gli avvocati li raggirano, estorcono loro un sacco di soldi facendogli false promesse. Gli sbirri fanno le retate, per esempio sui mezzi pubblici in accordo con le aziende di trasporto pubblico STIB e De Lijn, vista la loro attiva collaborazione durante i controlli dei titoli di viaggio che permettono anche di arrestare le persone senza documenti. Allo stesso modo agiscono le ispezioni del lavoro condotte nei bar, nei magazzini di notte e nei cantieri, in collaborazione con l’Ufficio Stranieri. Negli uffici comunali dei burocrati consegnano permessi di soggiorno e carte per il lavoro e costruiscono delle banche dati relative ai richiedenti asilo. I palazzinari, che sanno fin troppo bene in quale situazione di precarietà vivono gli affittuari senza documenti, ne approfittano per spillargli ancora più soldi. Infine ci sono quegli “onesti cittadini” che non esitano a denunciare quando ne hanno l’opportunità.

E allora, adesso che si fa? Noi possiamo rompere il silenzio dell’assenso a tutto questo. Le scelte hanno delle conseguenze! Se noi vogliamo lottare contro la “macchina delle deportazioni” non basta solo sapere chi vi collabora. Bisogna fare qualcosa. Possiamo fare visita a coloro che rifiutano di assumersi le proprie responsabilità, mettergli i bastoni tra le ruote e rendergli le cose difficili. Possiamo scrivere sui loro muri, sabotare e distruggere le loro strutture. Tutto questo potrà produrre forza se, facendolo, riusciamo a non dimenticare che la lotta contro la “macchina delle espulsioni” non è una lotta separata dalle altre per la libertà; che una società basata sull’autorità, sul lavoro e sullo sfruttamento avrà sempre bisogno di prigioni e di centri, avrà sempre bisogno di rinchiudere e opprimere. E la lotta che noi portiamo nei nostri cuori è una lotta contro tutte le forme di oppressione. Quindi, gridiamolo forte! : non si tratta delle aberrazioni di un singolo sistema, ma di tutto, di tutte le nostre vite! Portiamo questi contenuti con noi, ad ogni passo che facciamo contro la “macchina delle deportazioni” e contro tutto ciò che ci impedisce di essere liberi. Sviluppiamo una solidarietà con tutti coloro che, partendo da uno stesso desiderio di libertà, scelgono di attaccare ciò che li mantiene “rinchiusi”; una solidarietà capace di rompere l’isolamento che tende a spegnere tutti i tentativi di riappropriazione delle nostre vite. Una solidarietà che può esprimersi in modi diversi. Aiutiamoci quando ce n’é bisogno,  difendiamo le nostre idee e condividiamo le rivolte. Condividiamo la lotta…

Alcuni anarchici

Fonte: A ceux et celles qui veulent se battre pour la liberté, pieghevole di 4 pagine. Testo in francese disponibile su http://ennemisdesfrontieres.blogspot.com/2009/12/ceux-et-celles-qui-veulent-se-battre.html

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